(Immagine: William Neaves)
Il paese esprime sempre una volontà di cambiamento, e questa è la miglior garanzia dell’immutabilità politica. Basta non cambiare mai, di modo che il popolo possa continuare a esprimere la sua volontà di cambiamento. Perciò in Usitalia si era deciso che tutti dovevano assomigliarsi, virtuosi e gangster, modernisti e passatisti, moderati e modernisti. Decine di facce promettevano, incominciavano, interrompevano, ribadivano le solite cose, dentro e fuori gli schermi, in quel rutilante scorrere di nulla ogni cittadino trovava le sue ragioni e subito le dimenticava, e gli restava dentro solo l’eco di un disagio rabbioso. Così il Reame del Gangster Catodico e dei suoi maggiordomi neri e rosa, sembrava volere le stesse cose del Misterioso Grande Centro o del Monastero dei Beati Progressisti, identiche erano le orazioni, i rosari e le parolacce, identica la miseria di idee e la sudditanza ai forti. Chi aveva idee, in quel paese, se le portava addosso da solo, come una gerla, e le scambiava coi passanti. Per il resto, lotte da città a città e da ducato a ducato, tenzoni proporzionali e maggioritarie, fulmineo scorrere di risse e insulti poi trasformabili in alleanze e bicamerali con bagno, promesse d’odio eterno ed eterni compromessi, e poi referendi e tradimenti e rimpasti e ribollite e ribaltoni e insulti alla storia, alle vittime, ai deboli. Si demandava ai magistrati di giudicare quello che spetta a ogni coscienza civile: se ai potenti sia concesso qualsiasi reato e delitto. Sì, era la risposta, e ogni dignitoso sogno aveva abbandonato le anime di quel popolo, lasciandoli lieti di affidare la loro libertà a gangster e mafiosi, e sentirla minacciata dal mendicante all’angolo. La loro indignazione aveva respiro meno che settimanale, e durava più per un rigore non concesso che per un delitto non svelato. Sì, senza coscienza civile, senza storia, senza giustizia, la vita in quel paese aveva il lento scorrere di un funerale.
Il paese esprime sempre una volontà di cambiamento, e questa è la miglior garanzia dell’immutabilità politica. Basta non cambiare mai, di modo che il popolo possa continuare a esprimere la sua volontà di cambiamento. Perciò in Usitalia si era deciso che tutti dovevano assomigliarsi, virtuosi e gangster, modernisti e passatisti, moderati e modernisti. Decine di facce promettevano, incominciavano, interrompevano, ribadivano le solite cose, dentro e fuori gli schermi, in quel rutilante scorrere di nulla ogni cittadino trovava le sue ragioni e subito le dimenticava, e gli restava dentro solo l’eco di un disagio rabbioso. Così il Reame del Gangster Catodico e dei suoi maggiordomi neri e rosa, sembrava volere le stesse cose del Misterioso Grande Centro o del Monastero dei Beati Progressisti, identiche erano le orazioni, i rosari e le parolacce, identica la miseria di idee e la sudditanza ai forti. Chi aveva idee, in quel paese, se le portava addosso da solo, come una gerla, e le scambiava coi passanti. Per il resto, lotte da città a città e da ducato a ducato, tenzoni proporzionali e maggioritarie, fulmineo scorrere di risse e insulti poi trasformabili in alleanze e bicamerali con bagno, promesse d’odio eterno ed eterni compromessi, e poi referendi e tradimenti e rimpasti e ribollite e ribaltoni e insulti alla storia, alle vittime, ai deboli. Si demandava ai magistrati di giudicare quello che spetta a ogni coscienza civile: se ai potenti sia concesso qualsiasi reato e delitto. Sì, era la risposta, e ogni dignitoso sogno aveva abbandonato le anime di quel popolo, lasciandoli lieti di affidare la loro libertà a gangster e mafiosi, e sentirla minacciata dal mendicante all’angolo. La loro indignazione aveva respiro meno che settimanale, e durava più per un rigore non concesso che per un delitto non svelato. Sì, senza coscienza civile, senza storia, senza giustizia, la vita in quel paese aveva il lento scorrere di un funerale.
Stefano Benni, tratto da Spiriti, Feltrinelli 2000
(Incipit del capitolo 6, Usitalia)
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