Tristezza degli ombrelli rossi — Jasper Mortensen

.

(Immagine: priscilla-world)


A Seattle piove, piove sempre, non fa che piovere, non a caso la chiamano «The Rainy Town», però è un buon posto per viverci, dinamico, moderno, pieno di fermento, se non ti dà noia la pioggia, a me la dà, non è il bagnato, i vestiti sempre umidi, no, non me ne importa, da piccolo ero uno di quei bambini che vanno matti a saltare dentro il fango, a centrare le pozzanghere, quello che non sopporto è l’anonimato, la pioggia cancella le persone, i volti, li fa tutti uguali, li nasconde dentro gli impermeabili e sotto i cappucci, sotto il tetto opaco degli ombrelli, forse è per questo che a Seattle la gente non adopera l’ombrello, lo fanno in pochi, e così quelli magari li riconosci, ma gli ombrelli è difficile distinguerli, scuri, spesso neri, si somigliano tutti, tutti tranne quello, un ombrellino piccolo, rosso acceso, colorava il grigio dell’asfalto e dei palazzi, si stagliava contro il piombo del cielo, lei lo reggeva con grazia, lievemente, avevi l’idea che fosse l’ombrello a portarla, come se lei fosse fatta di vento, leggera come l’aria, attraversava la strada e poi svoltava l’angolo, volava via, dove vai rondinella rossa?, dove vai così di fretta?, aspetta, fermati un istante, colorami il mondo solo per un momento, per favore, avevo preso ad aspettarla, ad aspettare che apparisse quella macchia luminosa di rubino, lei attraversava svelta, allora attraversavo anch’io, e rallentavo un po’, per vedere meglio, per fissarmi in fondo agli occhi la ciocca bionda che sfuggiva di sotto il cappuccio, fermarla, ma come?, con una scusa qualsiasi, domandarle «che ore sono?», ma forse non sarebbe stato sufficiente, forse tra la folla indaffarata di Seattle non se ne sarebbe neanche accorta, non avrebbe sentito, avrebbe continuato rapida verso la sua destinazione, verso il suo destino, arrivederci, arrivederci amore sconosciuto, credi al destino?, io non ci ho mai creduto, proprio come gli ombrelli, oggetti tristi, capricciosi, malvagi di una malvagità che non capiamo, trascinano via le anime nel vento, gli ombrelli non credono al destino, neppure quelli rossi, neppure questo qui, a oscillare aperto in mezzo all’incrocio, gira e rigira su stesso, finché non incontra la ruota della macchina con lo sportello spalancato, finché un agente non lo raccoglie e lo richiude, il cerchio rosso diventa un segmento color sangue e poi si spegne, poi c’è la luce convulsa e intermittente dell’ambulanza, troppo tardi, l’uomo siede ancora davanti al volante, è lo shock, troppo tardi, l’unico rosso è il fiotto di sangue che fa un ghirigoro sul lenzuolo adagiato sopra il corpo, immobile, lei per la prima volta immobile, camminava svelta, dicono, ha attraversato senza guardare, questione di istanti, a volte basta solo un momento, decidersi, fermarla con una scusa, una qualsiasi, magari domandarle «che ore sono?», riuscire a fermarla, era destino, dice qualcuno, si esce di casa e il destino è lì che ti aspetta, sì, il destino, dice qualcuno tra i curiosi, non io, io non ci ho mai creduto, io me ne resto zitto con la pioggia dentro agli occhi, cerco quel maledetto ombrello rosso, o una nuova ciocca bionda che sfugga da sotto un cappuccio, un’altra ciocca bionda, sì, basterebbe anche quello, per bisbigliare un altro arrivederci.


Jasper Mortensen (Canada), Sadness of Red Umbrellas

(Tradotto da # of My Souls, inedito)

Nessun commento:

Posta un commento