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La desolazione, l’assenza, l’amarezza sfilavano nelle poche righe della lettera, quella era la sua ultima, l’ultima e definitiva voce di Victoria, esaurita, voce-vocina lontana, avara, rimpicciolita frase dopo frase, parola dopo parola, dentro il suo stesso rancore, il rancore era un fiera famelica che divorava tutto, anche lui che leggeva, leggeva e capiva, capiva di non voler più capire, che Victoria se n’era andata per sempre, addio, porta chiusa, fine, di chi, di che cosa era la colpa, la colpa che ricorreva sempre nei loro litigi, che parola è “colpa”, colpa è una parola cattiva, che avvelena tutto quel che la circonda, le altre parole, le bocche che la pronunciano, o solamente la leggono, presente passato futuro, tutto inquinato e corrotto, Victoria, torna da me, lui avrebbe voluto dirle così, riuscire a gridarglielo, ma no, quell’ultima lettera tagliava il fiato, toglieva l’aria, seccava le lacrime lungo le guance, torna da me Victoria, restava appena un pensiero, sillabe vuote, senza più sangue saliva sudore sperma, lo sperma era lui che passava dentro di lei, passava senza rimanere, senza attecchire, sterile, voglio un figlio, quante volte Victoria gliel’aveva detto, attraverso gli sguardi muti, da cane preso a calci, cacciato via, un figlio, le cagne sono così, sempre in foia, a ogni istante pronte a farsi inseguire dai maschi, a infilarsi in un angolo buio per farsi gonfiare il ventre di cuccioli, Victoria, avresti ballonzolato in giro sui marciapiedi, nei vicoli, con quella pancia troppo grande, sarebbe stata la tua vittoria, Victoria, alla fine dei conti una vittoria da niente, ma ti sarebbe bastata, per sopravvivere, per continuare anche contro la morte, e forse ce n’era un po’ anche per lui, di quell’immortalità che era un sogno, non aveva più nulla a che fare con l’amore, ecco, l’amore, parola da sussurrare poco, pochissimo, con parsimonia, quasi con spilorceria, l’amore è patetico quando lo si scrive, a leggerlo dentro una lettera poi, banale, banale quanto e più della vita stessa, eri la mia vita Victoria, adesso resta soltanto un fantasma di segni neri sopra la carta, un ghirigoro lieve, come una zanzara che oscilla volando contro un muro bianco, bianco come questa lettera piena di desolazione, d’assenza, ma amarezza no, scaccio via l’amarezza per sempre, la tua e la mia, Victoria, con un gesto semplice, all’angolo di questo foglio, l’accendino dà subito fuoco, era fuoco il mio sangue, la mia saliva, il mio sudore, il mio sperma, però tutto passa senza rimanere, non riesce a attecchire, con questa fiamma cancello te e me, presente passato futuro, fiere fameliche, figli sognati, cani presi a calci e immortali, e anche tutte le vittorie, Victoria, le vittorie che forse desideravamo, che non abbiamo avuto.
Jasper Mortensen (Canada), Victoria, the Victories
(Tradotto da # of My Souls, inedito)
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