(Francesco Hayez, Magdalena penitente, 1825 — Civica Galleria d'Arte Moderna, Milano)
Su di me si dev’essere detto che dopo la morte di Gesù mi sono pentita di quelli che chiamavano i miei infami peccati di prostituta e mi sono convertita in penitente per il resto della mia vita, e questo non è vero. Mi hanno innalzato nuda sugli altari, coperta solo dai capelli che mi scendono fino alle ginocchia, con i seni marci e la bocca sdentata, e se è ovvio che gli anni passati hanno finito per rinsecchire la liscia morbidezza della mia pelle, è successo solo perché a questo mondo nulla può prevalere sul tempo, non perchè io avessi disprezzato e offeso lo stesso corpo che Gesù ha desiderato e posseduto. Chi ha detto quelle falsità contro di me non sa nulla dell’amore. Ho smesso di essere una prostituta il giorno in cui Gesù è entrato in casa mia portando con sé la ferita al piede perché io la curassi, ma di questi prodotti dell’uomo che chiamano peccati di lussuria io non dovrei pentirmi affatto se è stato come prostituta che mi ha conosciuta il mio amore e, avendo provato il mio corpo e saputo quello di cui vivevo, non mi ha voltato le spalle. Quando davanti a tutti i discepoli Gesù mi baciava una e più volte, loro gli chiedevano perché amasse me tanto più che loro, e Gesù rispondeva: “Da cosa dipende che io non vi ami tanto quanto amo lei?” Loro non sapevano cosa dire perché mai sarebbero stati in grado di amare Gesù con lo stesso assoluto amore con cui io lo amavo. Dopo la morte di Lazzaro, la disperazione e la tristezza di Gesù furono tali che, una notte, sotto le lenzuola che copriva le nostre nudità, io gli ho detto: “Non posso raggiungerti dove sei perché ti sei chiuso dietro una porta impossibile da aprire con forze umane”, e lui ha risposto, lamento e gemito animale che si è nascosto per soffrire: “Anche se non puoi entrare, non ti allontanare da me, tieni sempre stesa la tua mano anche quando non potrai vedermi, se non lo farai mi dimenticherò della vita, o lei mi dimenticherà”. E quando alcuni giorni dopo, Gesù si era ricongiunto con i suoi discepoli, io, che camminavo al suo lato, gli ho detto: “Guarderò la tua ombra se non vorrai che guardi te”, e lui ha risposto: “Voglio trovarmi dove si trova la mia ombra se è lì che saranno i tuoi occhi”. Ci amavamo e ci scambiavamo parole come queste, non solo perché belle e vere, se è possibile che una cosa sia l’una e l’altra allo stesso tempo, ma perché avevamo il presentimento che il tempo delle ombre stesse arrivando ed era necessario che cominciassimo ad abituarci, ancora da uniti, all’oscurità dell’assenza definitiva. Ho visto Gesù resuscitato e in un primo momento mi è sembrato che quell’uomo fosse il giardiniere del suo tumulo, ma oggi so che non lo vedrò mai dagli altari su cui mi hanno messa, per quanto possano essere alti, per quanto possano essere vicini al cielo, per quanti fiori e profumi li possano adornare. Non è la morte che ci ha separati, ci ha separati per sempre la stessa eternità. In quel periodo, abbracciati l’uno all’altra, unite le nostre bocche nello spirito e nella carne, né Gesù era allora quello che di lui si diceva, né io ero quello per cui mi schernivano. Gesù, con me, non è stato il Figlio di Dio, e io, con lui, non sono stata la prostituta Maria Maddalena, siamo stati soltanto quell’uomo e questa donna, tutti e due tremanti d’amore e su cui incombeva il mondo come un avvoltoio sbavante sangue. Hanno detto alcuni che Gesù avesse eliminato sette demoni dalle mia interiora, ma anche questo non è vero. Quello che Gesù ha fatto, invece, è stato svegliare i sette angeli che dormivano nella mia anima in attesa che lui arrivasse a chiedermi cure: “Aiutami”. Sono stati gli angeli che gli hanno curato il piede, sono stati loro che hanno guidato le mie mani tremolanti e hanno ripulito dal pus la ferita, sono stati loro che mi hanno messo sulle labbra la domanda senza la quale Gesù non avrebbe potuto aiutare me: “Sai quello che sono, quello che faccio, di cosa vivo”, e lui ha risposto :”Lo so”, “Non hai dovuto guardare e già sapevi tutto”, e lui ha risposto: “Non so niente”", e io ho insistito: “Che sono una prostituta”, “Questo lo so”, “Che vado a letto con uomini per denaro”, “Sì”, “Allora sai tutto di me” e lui, con voce tranquilla, come la superficie liscia di un lago mormorato, ha detto: “So soltanto questo”. Allora io non sapevo che si trattasse del figlio di Dio, né tantomeno immaginavo che Dio potesse volere un figlio, ma, in quell’istante, con la luce illuminante della comprensione dello spirito, ho capito che solamente un vero Figlio dell’Uomo avrebbe potuto pronunciare quelle tre semplici parole: “So soltanto questo”. Siamo rimasti a guardarci, non ci siamo neanche accorti che a quell’ora gli angeli erano già andati via, e da quel momento in poi, nelle parole e nel silenzio, nelle notte e nel giorno, nel sole e nella luna, nella presenza e nell’assenza, ho cominciato a dire a Gesù chi io fossi, e mi mancava ancora molto per arrivare al punto più profondo di me stessa quando l’hanno ammazzato. Sono Maria Maddalena e ho amato. Non c’è altro da aggiungere.
José Saramago (16 novembre 1922-18 giugno 2010), Um capítulo para o “Evangelho”
(Tratto da il Quaderno di Saramago — traduzione autorizzata del blog di José Saramago a cura di Massimo Lafronza)
Su di me si dev’essere detto che dopo la morte di Gesù mi sono pentita di quelli che chiamavano i miei infami peccati di prostituta e mi sono convertita in penitente per il resto della mia vita, e questo non è vero. Mi hanno innalzato nuda sugli altari, coperta solo dai capelli che mi scendono fino alle ginocchia, con i seni marci e la bocca sdentata, e se è ovvio che gli anni passati hanno finito per rinsecchire la liscia morbidezza della mia pelle, è successo solo perché a questo mondo nulla può prevalere sul tempo, non perchè io avessi disprezzato e offeso lo stesso corpo che Gesù ha desiderato e posseduto. Chi ha detto quelle falsità contro di me non sa nulla dell’amore. Ho smesso di essere una prostituta il giorno in cui Gesù è entrato in casa mia portando con sé la ferita al piede perché io la curassi, ma di questi prodotti dell’uomo che chiamano peccati di lussuria io non dovrei pentirmi affatto se è stato come prostituta che mi ha conosciuta il mio amore e, avendo provato il mio corpo e saputo quello di cui vivevo, non mi ha voltato le spalle. Quando davanti a tutti i discepoli Gesù mi baciava una e più volte, loro gli chiedevano perché amasse me tanto più che loro, e Gesù rispondeva: “Da cosa dipende che io non vi ami tanto quanto amo lei?” Loro non sapevano cosa dire perché mai sarebbero stati in grado di amare Gesù con lo stesso assoluto amore con cui io lo amavo. Dopo la morte di Lazzaro, la disperazione e la tristezza di Gesù furono tali che, una notte, sotto le lenzuola che copriva le nostre nudità, io gli ho detto: “Non posso raggiungerti dove sei perché ti sei chiuso dietro una porta impossibile da aprire con forze umane”, e lui ha risposto, lamento e gemito animale che si è nascosto per soffrire: “Anche se non puoi entrare, non ti allontanare da me, tieni sempre stesa la tua mano anche quando non potrai vedermi, se non lo farai mi dimenticherò della vita, o lei mi dimenticherà”. E quando alcuni giorni dopo, Gesù si era ricongiunto con i suoi discepoli, io, che camminavo al suo lato, gli ho detto: “Guarderò la tua ombra se non vorrai che guardi te”, e lui ha risposto: “Voglio trovarmi dove si trova la mia ombra se è lì che saranno i tuoi occhi”. Ci amavamo e ci scambiavamo parole come queste, non solo perché belle e vere, se è possibile che una cosa sia l’una e l’altra allo stesso tempo, ma perché avevamo il presentimento che il tempo delle ombre stesse arrivando ed era necessario che cominciassimo ad abituarci, ancora da uniti, all’oscurità dell’assenza definitiva. Ho visto Gesù resuscitato e in un primo momento mi è sembrato che quell’uomo fosse il giardiniere del suo tumulo, ma oggi so che non lo vedrò mai dagli altari su cui mi hanno messa, per quanto possano essere alti, per quanto possano essere vicini al cielo, per quanti fiori e profumi li possano adornare. Non è la morte che ci ha separati, ci ha separati per sempre la stessa eternità. In quel periodo, abbracciati l’uno all’altra, unite le nostre bocche nello spirito e nella carne, né Gesù era allora quello che di lui si diceva, né io ero quello per cui mi schernivano. Gesù, con me, non è stato il Figlio di Dio, e io, con lui, non sono stata la prostituta Maria Maddalena, siamo stati soltanto quell’uomo e questa donna, tutti e due tremanti d’amore e su cui incombeva il mondo come un avvoltoio sbavante sangue. Hanno detto alcuni che Gesù avesse eliminato sette demoni dalle mia interiora, ma anche questo non è vero. Quello che Gesù ha fatto, invece, è stato svegliare i sette angeli che dormivano nella mia anima in attesa che lui arrivasse a chiedermi cure: “Aiutami”. Sono stati gli angeli che gli hanno curato il piede, sono stati loro che hanno guidato le mie mani tremolanti e hanno ripulito dal pus la ferita, sono stati loro che mi hanno messo sulle labbra la domanda senza la quale Gesù non avrebbe potuto aiutare me: “Sai quello che sono, quello che faccio, di cosa vivo”, e lui ha risposto :”Lo so”, “Non hai dovuto guardare e già sapevi tutto”, e lui ha risposto: “Non so niente”", e io ho insistito: “Che sono una prostituta”, “Questo lo so”, “Che vado a letto con uomini per denaro”, “Sì”, “Allora sai tutto di me” e lui, con voce tranquilla, come la superficie liscia di un lago mormorato, ha detto: “So soltanto questo”. Allora io non sapevo che si trattasse del figlio di Dio, né tantomeno immaginavo che Dio potesse volere un figlio, ma, in quell’istante, con la luce illuminante della comprensione dello spirito, ho capito che solamente un vero Figlio dell’Uomo avrebbe potuto pronunciare quelle tre semplici parole: “So soltanto questo”. Siamo rimasti a guardarci, non ci siamo neanche accorti che a quell’ora gli angeli erano già andati via, e da quel momento in poi, nelle parole e nel silenzio, nelle notte e nel giorno, nel sole e nella luna, nella presenza e nell’assenza, ho cominciato a dire a Gesù chi io fossi, e mi mancava ancora molto per arrivare al punto più profondo di me stessa quando l’hanno ammazzato. Sono Maria Maddalena e ho amato. Non c’è altro da aggiungere.
José Saramago (16 novembre 1922-18 giugno 2010), Um capítulo para o “Evangelho”
(Tratto da il Quaderno di Saramago — traduzione autorizzata del blog di José Saramago a cura di Massimo Lafronza)
Este é um dos belos textos que Saramago nos deixou. Participo de sua percepção das figuras bíblicas e podemos entender porque, neste mundo tão cheio de preconceitos e estreiteza de visão, o escritor causou tantos incômodos.
RispondiEliminaQue bom, Stefano, você ter publicado esta bela peça de entendimento humano!