Uccelli nella doccia — Héctor Ranea

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Nella sua nuova casa, Dorotea notò un atteggiamento strano negli uccelli che cantavano mentre lei faceva la doccia. Il primo giorno vennero delle rondini a bere dalle sue spalle con una sorprendente abilità. Le rondini, lo si sa, oltre a far sapere che l’estate è arrivata, sono abbastanza socievoli e per nulla timide. Difatti, Dorotea ebbe la sensazione di conoscere questa consuetudine sin da bambina. Non poteva dimenticare la morbidezza delle piume degli uccelli. In ogni caso non diede troppa importanza al fatto, al punto che, quella mattina, nemmeno ne fece commento con gli amici .
Il giorno dopo, nella doccia entrarono due calandre in calore. Le loro piume non erano così soffici come quelle delle rondini, perché le calandre non migrano molto lontano; inoltre, la loro mancata temperanza le rendeva piuttosto moleste. Ma, siccome erano in calore, cantavano belle e monotone canzoni così che Dorotea avesse tempo per lavarsi le parti intime più concentrata del solito e anche con più cura. Una volta fuori dalla doccia, Dorotea si rese conto di averci messo più del solito, faceva quasi tardi al lavoro. Nella metropolitana promise a se stessa che il giorno successivo si sarebbe fatta la doccia a finestra chiusa per impedire agli uccelli di entrare. Non considerò più la faccenda fino all’indomani.
Ma si dimenticò di chiudere la finestra, e arrivarono due civette con tutta l’intenzione di prendersi gli schizzi d’acqua. Si misero sulla sbarra della tenda e, immobili, accolsero le gocce nelle piumette morbide del petto. E così come erano venute se ne andarono. Dorotea però non era affatto contenta della sua dimenticanza.
Lasciò, allora, un cartello su cui pregava se stessa di chiudere la finestra il giorno successivo, ma nella metropolitana le venne in mente un modo per bagnarsi senza la visita inconsueta degli uccelli. Avrebbe fatto la doccia prima del sorgere del Sole; così – pensava Dorotea – si sarebbe risparmiata l’arrivo degli uccelli anche se avesse scordato di chiuder la finestra.
Ma non è che andò un granché meglio. All’ora del lupo (1) vennero a bere dai peli pubici di Dorotea due pipistrelli nani. Si posero soavi sull’ombelico e, capovolti, com’è loro costume, bevevano vicini alle grandi labbra. Questo congelò Dorotea sotto la doccia, e lei attese il sorgere del Sole fin quando i pipistrelli se ne fossero andati e fossero venute le allodole a bagnarsi insieme a lei.
A questo punto Dorotea ebbe bisogno di una scusa valida per spiegare il ritardo al lavoro, anche se guadagnò un po’ di tempo truccandosi nella metropolitana.
Il giorno dopo fece la doccia appena sorto il Sole. Ma quando entrò in bagno c’era già una coppia di passerotti che l’aspettavano per farsi la doccia. Si posarono sulle spalle di Dorotea e le pizzicarono leggermente il collo, cercando piccoli pezzi di pelle staccata. A lei piacque questo trattamento e se ne restò a lungo sotto la doccia. Gli uccelli avevano preso a carezzarle i seni con le loro lingue piccolissime che appena inumidivano nell’acqua della doccia.
Arrivò al lavoro così tardi che la sospesero per una settimana.
L’indomani, Dorotea si affacciò nel bagno e già l’aspettavano dieci pappagalli australiani, due usignoli maschi, un picchio dal dorso bianco e un altro dal dorso rosso, e un rapace che Dorotea non identificò molto bene, un falco bruno diremmo noi. La ragazza si spaventò, indietreggiò di qualche passo, ma un’ara gigante appena entrata dalla finestra le disse (perché le ara femmine possono parlare):
— Non ti spaventare, Dorotea. Siamo venuti a vederti mentre fai la doccia perché il tuo corpo ci regala un po’ dell’acqua che la nostra pelle non lascia entrare.
Dorotea arrossì per questo complimento, ma continuò senza parlare con gli uccelli perché lo considerava eretico, e se in ufficio si fosse saputo di questa sua rarità zoologica, l’avrebbero sospesa a vita. Ma anche così gli uccelli non tacquero. Anzi, molti, nelle loro rispettive lingue, le fecero sapere che le rondini gli avevano raccontato tutto, che le civette e i pipistrelli avevano goduto molto di quell’acqua quasi piovana e che ora tutti loro volevano fare la doccia insieme a lei. Dopotutto, abitavano presso lo stesso giardino.
Allora Dorotea si spogliò, illuminando il bagno col suo bellissimo corpo nudo, aprì il rubinetto della doccia davanti agli occhi saltellanti degli uccelli, molti dei quali capovolgevano la testa per guardare con entrambi gli occhi, e cominciò a farsi questa doccia sublime mentre due cinciallegre nidificavano per alcuni secondi nella pancia di Dorotea e il falco voleva morderle i capezzoli ma riusciva a malapena a baciarli. Senza contare gli ara e i pappagalli che cantavano Bach dall’allegria per la vista di tanta bellezza.
Quel giorno stesso Dorotea cominciò a cercare un’altro lavoro. Ovviamente, nel suo curriculum vitæ mise che aveva uccelli nella testa (2), e allora la assunsero in un manicomio come interprete.


(1) Cioè nelle ore notturne — riferimento al film L’ora del lupo di Ingmar Bergman (Vargtimmen, 1968).

(2) Lo spagnolo «tener pájaros en la cabeza» equivale all’italiano «essere un po’ tocchi».



Héctor Ranea (Argentina), Pájaros en la ducha

(Tratto da Breves no tan breves — traduzione dell’autore, revisione linguistica: SV)

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