Visita al Gran Cane — Marco Polo Apocrifo

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(...) Giungemmo dunque alla reggia del Gran Cane. Essa era mirabolante, di quattuordici piani incastellati, edifizio che non ve n’è alcuno tra le architetture che vedemmo, né venetiane né a Costantinopoli, per quanto codeste civitate sieno arcinote per esplendore e ricchezza, e d’ogni abbellimento adornati sieno li palazzi loro. Dipoi, antecipato per uno stuolo di cortigiani, servidori e milittie, giunse lo Gran Cane in persona. Egli è il sovrano del Catai, e di molt’altre nattioni, che assoggettò colli suoi eserciti, e di questo tutti noi eravamo a cognoscenza. Sicché molto meravigliocci il di lui vedere che, immantinente, al cospetto nostro, ratto discendeva da la portantina aurea che ivi lo traeva, e con un sorriso aperto, qual solo un amico suol offrire ad altro amico, venivaci incontro. Ci inginocchiammo, in guisa di sudditi, e come eraci stato raccomandato per il Gran Ciambellano Cen Guomino, lo quale avevaci erudito sopra ’l comportamento da seguire dinnanzi al monarca del Catai. E questo, quase contrariato, abbaiò al dragomanno che tosto tradusse le regali volontà: che ci rialzassimo subito all'impiedi. Immensa meraviglia conquistocci, dunque, ché li sovrani a tutt'altri habiti indulgono, e amano far sfoggio di gerarchia e potentia.


Marco Polo, Il Milione apocrifo, XXV, 45-49

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