Un autobus alla velocità dell'infinito — José Antonio García González

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Viaggiavamo su un nastro di Moebius. Sì. Tardai un po' ad accorgermene, c'è voluto qualcosa come cinque giri completi per rendermi conto dell'anomalia nella quale esistevamo.
Io e l'autobus pieno di passeggeri silenziosi. Gente che riuscivo a vedere dallo specchietto retrovisore, ma che nessun altro dei miei sensi percepiva. Curioso, sì, che duecento persone esistano senza esser lì non è un fatto che si scopre tutti i giorni.
La fisica del pianeta si era sgangherata, da secoli, dall'epoca in cui gli scienziati e le loro cavie di laboratorio avevano tentato di risolvere i problemi che altri scienziati, con le loro cavie, avevano creato una generazione prima.
E la gente a piedi, o in autobus, paga le conseguenze di questo esperimento.
Questa è una di quelle: viaggiare alla velocità dell'infinito attraverso uno spazio infinito, carico di persone sfocate, senza poter distogliere lo sguardo dalla strada per paura che qualche nuova anomalia si spalanchi davanti al mio veicolo. Perché se succede qualcosa alla vettura devo rispondere col mio stipendio. Perciò non posso staccare gli occhi dalla strada.
Adesso mi trovo qui, a girare, a girare e girare fino alla fine del tempo, fino alla mia morte o fino alla disintegrazione di tutto il resto attorno a noi, nel viavai del nastro di Moebius che prima era una statale e da un momento all'altro, chissà, si può trasformare in una spiaggia o in una pista da ballo.
Se solo qualcuno dei passeggeri si degnasse di parlare…


José Antonio García González (Argentina), Un autobús a la velocidad del infinito

(Tradotto da Proyecto Azúcar)

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