La Morte ed io — Esteban Moscarda

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(Immagine: Aimee Ketsdever)


Era così bella che già solo l'accenno del suo profumo preannunciava tempeste di ormoni e di sospiri. Era così perfetta che faceva sì che il tempo ristagnasse in una pozza di piacere. La prima volta che la vidi fu in un bar del centro. Stavo mangiando da solo, avevo caldo, infastidito dall’ingombro dei vestiti e dalla fretta. Lei entrò e ogni cosa si trasformò in sensazioni piacevoli: il mondo rinfrescò, i vestiti si fecero più leggeri e il tempo ricalcò la velocità di una lumaca. Le parlai. Mi parlò (il suo discorso catturò i miei neuroni uno per uno e li reinventò). Andammo a casa mia (sì, non mi presentai al lavoro e neppure chiamai per avvertire), facemmo l'amore (il nostro atto sessuale, letteralmente, letteralmente, diede significato al concetto che i mortali chiamano amore) e il nirvana parcheggiò la sua macchina al centro della mia anima.
Ma dopo il sogno, il sogno dolcissimo che seguì a tutta quella pazzia, qualcosa non andò per il verso giusto. Provai paura. La guardai. Il suo viso perfetto, il suo corpo indescrivibile e i suoi occhi di abissi odorosi mi spiazzarono: solo la Morte poteva essere così bella.
— Sei "lei"? — domandai, fra lo stordito e l'impaurito.
— Sì, andiamo? — mi rispose con la melodia di un flauto celestiale.
E lì, in quel momento, nel grigiore della mia stanza, ogni ombra di dubbio o di timore evaporò davanti al suo sorriso d'oro, ai petali della sua pelle. Mi prese la mano e mi portò nel suo mondo, che è una stanza come la mia ma che sta un poco più in là, dietro le pareti della vita. È come qui (voglio dire, come lì); al posto dell'inchiostro uso la cenere per scrivere, e invece di starmene da solo ho l'eternità insieme alla mia Morte personale, l'essere più bello che esista…


Esteban Moscarda (Argentina), La Muerte y yo

(Tradotto da Breves no tan breves)

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