Penelope — Mónica Sánchez Escuer

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(Immagine: CinemaOnirico)


Lei caccia le frasi. Siede sul suo balcone e aspetta. D’improvviso eccone tre o quattro e lei deve affrettarsi perché non le sfuggano. Le cattura con una rete finissima e poi le lascia libere sul foglio. Non le disseziona, né le appunta con gli spilli. Quelle volano fino a stancarsi e a trovare il loro posto. Certe frasi se ne vanno via perché per stanno scomode fra le ossa della carta. Altre si arrampicano sul retro dei suoi occhi, o delle orecchie, e litigano per essere la frase finale del racconto che lei ha intessuto fino a adesso. Ma il finale non arriva mai.

La verità è che lei non ha alcuna intenzione di finire la sua storia. La gente che passa e la vede sul balcone a osservare particelle invisibili nell’aria dice che è un po’ pazza; i maghi e gli anziani assicurano che non le interessa altro che aspettare, dar la caccia alle frasi, scioglierle sulla carta, guardarle svolazzare o fuggir via, e coi loro suoni e i loro silenzi tessere una porzione di infinito.


Mónica Sánchez Escuer (Messico), Penélope

(Tradotto da Historias baldías)

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