Velocità della luce — Dino Buzzati

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(Bambini di scuola elementare in visita a un passaggio a livello, dintorni di Ravenna — da IFOT Indire)


Corre voce che metteranno la ferrovia in Val Rita, siamo in novembre, sulle alte cime da una parte e dall'altra è già nevicato, tra poco anche i tetti saranno bianchi.
Si sente dire che su per la Val Rita salirà la vaporiera. Nei casolari che fumano ai bordi sommi dei boschi, da dove si vede laggiù il paese come un giocattolo, certi vecchi nonni scuotono il capo: la ferrovia, la ferrovia, la smania degli uomini pazzi: qualcosa di brutto succederà, chissà cosa faranno gli spiriti della montagna, i capricciosi e dispettosi spiriti, capaci di combinare qualche disastro, di vendicarsi, garantito che non possono soffrire le esplosioni, i tonfi, e poi il fumo, le rotaie dove bellissimi alberi vivevano felici, le martellate, gli attrezzi, i disperati fischi notturni venuti su dalla pianura lontana.
Si vocifera che la ferrata è cosa imminente. Nelle "stue" del paese i cacciatori della Val Rita scuotono il capo: finiti, finiti i bei tempi della caccia grande, il treno spaventerà le bestie selvatiche, i caprioli i cervi i daini le lepri le volpi, branchi e becchi solitari fuggiranno su ai valichi, trasmigrando nelle bandite della Val Berna, della Val Ligontina, intoccabili: la pace, le vecchie cose terminate per sempre.
Si discute, si brontola, si deplora. Però tutto è stato fatto, mentre quelli ancora dicevano di no. Il giorno quattordici d'aprile c'è stata l'inaugurazione, su a Costamagna, il capolinea d'arrivo, il celebre posto dei gran signori che vengono d'estate con automobili e chauffeurs. All'inaugurazione è intervenuta perfino sua maestà: le bandiere, le fanfare, i discorsi, i fiori, il sole, l'allegria generale della circostanza, il radioso avvenire. E non si può dire che la valle sia molto cambiata, chissà come gli spiriti si sono astenuti dal fare dispetti sia di giorno sia di notte, neppure le bestie selvatiche si sono troppo spaventate, d'estate anzi la galleria delle Cesurette serve da nascondiglio e da nido per marmotte, faine, conigli selvatici e altri. E neanche il treno si fa vedere molto, quasi sempre nascosto dagli alberi; solo quando passa sul ponte di Rio Gerasòn dà spettacolo, e allora i ragazzetti corrono a vedere, mandando lunghi sibili anche loro.
Naturalmente hanno costruito le piccole stazioni e i caselli ferroviari, per i casellanti si sono indetti corsi speciali riservati ai valligiani con licenza elementare. È riuscito primo Fausto da Ronc di Sisto, ventiquattro anni, giovanotto in gamba, elettricista di mestiere, il suo casello è al chilometro ventotto, in corrispondenza con un'audace curva, orgoglio dell'ingegnere progettista. Nel bosco. Una sorgente vicina.
Dal casello si domina, prima e dopo, un bel pezzo di strada ferrata, la quale a valle sparisce laggiù, dietro un costolone di roccia innominato, a monte è inghiottito dal tunnel detto del Traverso. Una vita nel complesso tranquilla, dalle undici di sera alle sei del mattino nessun incomodo, infatti nottetempo la ferrovia riposa. Certo, di quando in quando, l'ispettore: brav'uomo. E le nuvole, che lentamente passano, si modificano, assumono forme strane, ci dicono cose personali, non ci sono più.
Si dice: la velocità della luce, meraviglia della fisica moderna, all'idea il nostro pensiero si smarrisce negli spazi universali. Eppure la luce è una povera vecchia tartaruga zoppa e malata al paragone dell'uomo, in confronto alla celerità spaventosa con cui l'uomo viene e scompare.
È nato un bambino delizioso: le trine, i confetti, il battesimo, gli intenerimenti, i bacetti, gli auguri, la felicità, il futuro glorioso; allora ripetiamo ottanta volte "Buon anno!" più svelti che si può, e il vecchio scende nella tomba. Perciò danno il brivido i ragazzi che dicono: noi giovani noi giovani, come se la loro razza fosse un'altra: prima che finiscano di parlare, già la loro lingua si ingarbuglia nell'opacità della sclerosi.
Non hanno fatto in tempo a dissolversi tra le rupi gli squilli che hanno salutato il re nel famoso giorno dell'inaugurazione. Il picchetto d'onore in alta uniforme non ha fatto in tempo ad eseguire il pied'arm. Ne' la sposina di Fausto da Ronc ha fatto in tempo a piantare i gerani nelle apposite cassette ai davanzali. Ecco che ormai sono arrivati gli ingegneri, i geometri e le opere per demolire la vecchia decrepita ferrovia, ridicola trappola d'altri tempi. Due mesi fa è passato l'ultimo treno, era febbraio, con la neve. I terribili colpi di mazza quasi non si odono, dato il catastrofico rombo dei camion sull'autostrada vicina come ottusi bisonti impazziti.
Liquidato il personale, per ben servito, il casellante Da Ronc, sessantatré anni, ha ottenuto dalla direzione il privilegio di poter abitare ancora il casello del chilometro ventotto vita natural durante. La moglie morta. Dei due figli, uno sistemato ad Amburgo, l'altro pure all'estero chissà dove. Solo. Ma, taciturne sopra di lui, le montagne no che non sono cambiate. A proposito: dicono che Fausto sia un po' via con la testa. Alla sera, in coincidenza col fu accelerato delle ventuno e quattordici, il quale non esiste più, egli esce ancora all'aperto con la sua lanterna, e per mezzo del lume fa segnali.
Così il casello del chilometro ventotto sulla linea ferroviaria abbandonata, con le finestre ancora accese, nella notte autunnale di vento - quel mugolìo lungo del bosco, come mano d'argento che perlustri il cuore - e lui che aspetta. Chi passerà stasera sul direttissimo fantasma che illumina la luce azzurra dell'oltretomba?
Ci sarà al finestrino il pallido arciduca suicida per amore, fosforescente? Oppure (le teste dondolanti al quadruplice martello in la minore), gli insigni, i titolati, le fatali, o gli spietati condottieri dei vizi e dei romanzi? O la cerea principessa che i parenti ricchissimi, per tentare di salvarla, vogliono portare a Siracusa, al sole e alle sirene, ma ogni volta sbaglian treno, e così la giovinetta fugge e muore attraverso le steppe e le montagne per migliaia e migliaia di chilometri. Mentre il vecchio casellante, fermo dinanzi alle rotaie morte, vede svanire, laggiù in fondo, la vita, le speranze ormai lontane, e dall'altra parte, adagio adagio, avanza il coagulo di buio, la grande cosa nera, solo per lui?


Dino Buzzati (1906-1972), da Le notti difficili, 1971

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