(Renée Magritte, La voix du sang, 1961)
Una donna ha partorito una sfera; si tratta di un globo del diametro di venti centimetri; il parto è stato facile, senza complicazioni. Si ignora se la donna sia o meno sposata; un marito avrebbe supposto una relazione col demonio, e l’avrebbe cacciata o forse uccisa a martellate. Dunque non ha marito. Si dice che sia vergine. In ogni caso, è una buona madre: è molto affezionata alla sfera.
Poiché la sfera non ha bocca, la madre la alimenta immergendola in una minuscola vasca colma del suo latte; la vaschetta è decorata di fiori. La sfera è del tutto liscia. Non ha occhi, né organi per muoversi, e tuttavia rotola per la stanza, sale le scale, rimbalzando leggermente, con molta grazia. È fatta di una materia più rigida della carne, ma non completamente anelastica. Nei suoi movimenti rivela una volontà decisa, qualcosa che si potrebbe chiamare chiarezza di idee. La madre la lava ogni giorno, la nutre. In realtà, non è mai sporca. Apparentemente, non dorme, sebbene non disturbi mai la madre: non emette alcun suono. Tuttavia la madre crede di sapere che, in certi momenti, la sfera è ansiosa di essere toccata dalla madre; le pare che in quei momenti la sua superficie sia più morbida. La gente evita la donna che ha partorito la sfera, ma la donna non se ne accorge. Tutto il giorno, tutta la notte, la sua vita ruota attorno alla perfezione patetica della sfera. Sa che quella sfera, per quanto prodigiosa, è estremamente giovane. Lentamente, la vede crescere. Dopo tre mesi, il suo diametro è cresciuto di quasi cinque centimetri; talora la superficie, di regola grigia, assume un lieve colorito rosato. La madre non insegna nulla alla sfera, ma cerca di imparare da lei: ne segue i movimenti, cerca di capire se ‘vuol dire’ qualcosa. La sua impressione è che la sfera non voglia dire nulla, e che tuttavia le appartenga. La madre sa che la sfera non resterà sempre nella sua casa; ma le interessa questo appunto, di essere stata coinvolta in una vicenda insieme sgomentevole e del tutto tranquilla. Quando le giornate sono calde e assolate, ella prende in braccio la sfera e cammina attorno alla casa; talora si spinge fino ad un giardino, ed ha l’impressione che la gente si stia abituando a lei, alla sua sfera. Le piace farla rotolare sulle aiuole, inseguirla e catturarla, con un gesto di spaventata passione. La madre ama la sfera, e si domanda se mai nessuna donna sia stata madre quanto lei.
Giorgio Manganelli (1922-1990), Settantacinque, 1979
(Tratto da Centuria, Rizzoli 1979)
Una donna ha partorito una sfera; si tratta di un globo del diametro di venti centimetri; il parto è stato facile, senza complicazioni. Si ignora se la donna sia o meno sposata; un marito avrebbe supposto una relazione col demonio, e l’avrebbe cacciata o forse uccisa a martellate. Dunque non ha marito. Si dice che sia vergine. In ogni caso, è una buona madre: è molto affezionata alla sfera.
Poiché la sfera non ha bocca, la madre la alimenta immergendola in una minuscola vasca colma del suo latte; la vaschetta è decorata di fiori. La sfera è del tutto liscia. Non ha occhi, né organi per muoversi, e tuttavia rotola per la stanza, sale le scale, rimbalzando leggermente, con molta grazia. È fatta di una materia più rigida della carne, ma non completamente anelastica. Nei suoi movimenti rivela una volontà decisa, qualcosa che si potrebbe chiamare chiarezza di idee. La madre la lava ogni giorno, la nutre. In realtà, non è mai sporca. Apparentemente, non dorme, sebbene non disturbi mai la madre: non emette alcun suono. Tuttavia la madre crede di sapere che, in certi momenti, la sfera è ansiosa di essere toccata dalla madre; le pare che in quei momenti la sua superficie sia più morbida. La gente evita la donna che ha partorito la sfera, ma la donna non se ne accorge. Tutto il giorno, tutta la notte, la sua vita ruota attorno alla perfezione patetica della sfera. Sa che quella sfera, per quanto prodigiosa, è estremamente giovane. Lentamente, la vede crescere. Dopo tre mesi, il suo diametro è cresciuto di quasi cinque centimetri; talora la superficie, di regola grigia, assume un lieve colorito rosato. La madre non insegna nulla alla sfera, ma cerca di imparare da lei: ne segue i movimenti, cerca di capire se ‘vuol dire’ qualcosa. La sua impressione è che la sfera non voglia dire nulla, e che tuttavia le appartenga. La madre sa che la sfera non resterà sempre nella sua casa; ma le interessa questo appunto, di essere stata coinvolta in una vicenda insieme sgomentevole e del tutto tranquilla. Quando le giornate sono calde e assolate, ella prende in braccio la sfera e cammina attorno alla casa; talora si spinge fino ad un giardino, ed ha l’impressione che la gente si stia abituando a lei, alla sua sfera. Le piace farla rotolare sulle aiuole, inseguirla e catturarla, con un gesto di spaventata passione. La madre ama la sfera, e si domanda se mai nessuna donna sia stata madre quanto lei.
Giorgio Manganelli (1922-1990), Settantacinque, 1979
(Tratto da Centuria, Rizzoli 1979)
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